... non riesci ad arrivare al libro che cercavi!
Chiunque di voi abbia una statura dal 1.65m in giù sa benissimo di cosa sto parlando e capirà il mio stato d'animo nel dare sfogo a questa repressa frustrazione che mi perseguita ormai dal raggiungimento del mio scarso 1.60m (quinta elementare...quando ero la più alta della classe: bei tempi).
Or dunque eccomi là, in quel meraviglioso mondo comunemente noto come "libreria": libri piccoli, libri grandi, edizioni tascabili, edizioni da campione di pesi massimi da quanto sono pese, copertine sobrie, copertine estrose e carnevalesche, pressi scontati, prezzi esorbitanti (e ingiustificati). Il supermercato dei libri, per capirci.
Nonostante l'esperienza insegni, io continuo imperterrita a cercare da sola i titoli che mi interessano, seguendo, in ordine, queste tre basiche operazioni:
- reperimento del settore "narrativa";
- districamento nel caos dei vari titoli al fine di comprendere l'ordine alfabetico in cui sono disposti;
- inseguimento a ritroso del filo per ritrovare la matassa iniziale da cui tutto ebbe inizio: la lettera A.
A questo punto sto per autocongratularmi con una sonora pacca sulla spalla con tanto di acustico "pat pat", quando la cruda e dolorosa realtà mi schiaffeggia ancora una volta, aggiungendoci quell'odioso ghigno sarcastico da leggersi: "Te l'avevo detto io!". Lo scaffale iniziale è a circa 30 cm da quello che ormai chiamo "ldmr" (livello da me raggiungibile): Allende, Ammaniti, Baricco e Benni fluttuano inarrivabili ad 1.80m d'altezza.
Non mi arrendo, anzi: sfodero la mossa dello scemo arrogante.
Mi guardo intorno appurando che intorno a me ci siano solo bambini e vecchi piegati dall'artrosi, incapaci di offrire un eventuale aiuto facendomi sprofondare in un imbarazzo ancora più bruciante; mi rimbocco la manica del giacchetto e, con fare disinvolto, inizio ad allungarmi verso l'ambito traguardo: prima il braccio, poi le gambe, per ritrovarmi in equilibrio precario sulle dita dei piedi a mo' di elefantessa ubriaca finita per caso su dei chiodi.
Con le lacrime agli occhi -un po' per lo sforzo, un po' per la vergogna- devo arrendermi: crollo sui talloni ristabilendo un contatto vagamente solido con la superficie terrestre. Sono salva, ma senza libro, e la sconfitta mi travolge.
Potrei andare nella stanza della letteratura per l'infanzia e sgraffignare uno di quegli adorabili sbagellini colorati, oppure rivolgermi all'onnipresente libraio spilungone che quando lo chiami non riesce nemmeno a trovarti nel suo orizzonte visivo, oppure arrampicarmi sulla scaffalatura dando provo delle mie notevoli capacità motorie.
Potrei fare tutte queste cose, ma significherebbe arrendermi pubblicamente -troppo pubblicamente- alle leggi della fisica, e non sono pronta per questo smacco.
Così mi dirigo verso la cassa, agguantando lungo il tragitto uno dei tanti noiosissimi libri a "ldmr" -perché si sa, quelli di cui non potrebbe fregartene di meno sono tutti là a 10 cm dal tuo pollice prensile- e pagando una cifra decisamente troppo alta per qualcosa che so benissimo non leggerò mai: Giambartino Angelo, "Le stagioni del ramarro".
Quando si dice che la vergogna fa fare sciocchezze.
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