mercoledì 31 agosto 2011

L'imbarazzante momento in cui...(n.1)

... non riesci ad arrivare al libro che cercavi!

Chiunque di voi abbia una statura dal 1.65m in giù sa benissimo di cosa sto parlando e capirà il mio stato d'animo nel dare sfogo a questa repressa frustrazione che mi perseguita ormai dal raggiungimento del mio scarso 1.60m (quinta elementare...quando ero la più alta della classe: bei tempi).
Or dunque eccomi là, in quel meraviglioso mondo comunemente noto come "libreria": libri piccoli, libri grandi, edizioni tascabili, edizioni da campione di pesi massimi da quanto sono pese, copertine sobrie, copertine estrose e carnevalesche, pressi scontati, prezzi esorbitanti (e ingiustificati). Il supermercato dei libri, per capirci.
Nonostante l'esperienza insegni, io continuo imperterrita a cercare da sola i titoli che mi interessano, seguendo, in ordine, queste tre basiche operazioni:

- reperimento del settore "narrativa";
- districamento nel caos dei vari titoli al fine di comprendere l'ordine alfabetico in cui sono disposti;
- inseguimento a ritroso del filo per ritrovare la matassa iniziale da cui tutto ebbe inizio: la lettera A.

A questo punto sto per autocongratularmi con una sonora pacca sulla spalla con tanto di acustico "pat pat", quando la cruda e dolorosa realtà mi schiaffeggia ancora una volta, aggiungendoci quell'odioso ghigno sarcastico da leggersi: "Te l'avevo detto io!". Lo scaffale iniziale è a circa 30 cm da quello che ormai chiamo "ldmr" (livello da me raggiungibile): Allende, Ammaniti, Baricco e Benni fluttuano inarrivabili ad 1.80m d'altezza.
Non mi arrendo, anzi: sfodero la mossa dello scemo arrogante.
Mi guardo intorno appurando che intorno a me ci siano solo bambini e vecchi piegati dall'artrosi, incapaci di offrire un eventuale aiuto facendomi sprofondare in un imbarazzo ancora più bruciante; mi rimbocco la manica del giacchetto e, con fare disinvolto, inizio ad allungarmi verso l'ambito traguardo: prima il braccio, poi le gambe, per ritrovarmi in equilibrio precario sulle dita dei piedi a mo' di elefantessa ubriaca finita per caso su dei chiodi.
Con le lacrime agli occhi -un po' per lo sforzo, un po' per la vergogna- devo arrendermi: crollo sui talloni ristabilendo un contatto vagamente solido con la superficie terrestre. Sono salva, ma senza libro, e la sconfitta mi travolge.
Potrei andare nella stanza della letteratura per l'infanzia e sgraffignare uno di quegli adorabili sbagellini colorati, oppure rivolgermi all'onnipresente libraio spilungone che quando lo chiami non riesce nemmeno a trovarti nel suo orizzonte visivo, oppure arrampicarmi sulla scaffalatura dando provo delle mie notevoli capacità motorie.

Potrei fare tutte queste cose, ma significherebbe arrendermi pubblicamente -troppo pubblicamente- alle leggi della fisica, e non sono pronta per questo smacco.
Così mi dirigo verso la cassa, agguantando lungo il tragitto uno dei tanti noiosissimi libri a "ldmr" -perché si sa, quelli di cui non potrebbe fregartene di meno sono tutti là a 10 cm dal tuo pollice prensile- e pagando una cifra decisamente troppo alta per qualcosa che so benissimo non leggerò mai: Giambartino Angelo, "Le stagioni del ramarro".

Quando si dice che la vergogna fa fare sciocchezze.

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